Enrico il birraio racconta come è nata la nostra Black IPA
Era il 2014: la moda delle black IPA si stava piano piano affievolendo e nei birrifici si iniziava a parlare di IPA con al loro interno la segale, un cereale che usciva un po’ dagli schemi rispetto al malto d’orzo e che faceva risultare le birre, come si dice in gergo, un po’ più rustiche.
Verso la fine di settembre di quell’anno, grazie ad un giro di amici, mi sono ritrovato tra le mani una rivista americana di settore e mi hanno subito incuriosito due articoli che parlavano proprio dell’uso della segale nella birra. A stuzzicarmi non era tanto la classica Black IPA, ormai già conosciuta, ma piuttosto l’idea di combinare la segale con questo stile. Così ho coinvolto qualche amico per provare a produrre la ricetta che mi era venuta in mente leggendo la rivista. Una giornata di brewing, chiacchiere e birre, con in sottofondo alla radio i tormentoni degli U2 e dei The Black Keys o ascoltando Left Hand Free degli Alt-J, decisamente da me preferiti. Tutti questi ingredienti hanno contribuito ad un risultato finale davvero interessante: una black IPA con un carattere unico grazie alla segale, la nostra Rye Charles.
Ma torniamo a noi: approvati i luppoli, vinto il concorso, la ricetta rimase chiusa per diversi anni nel mio quadernino delle ricette di Lupo Alberto dei Senza Benza. Nel 2013, dopo ormai un anno di apertura del birrificio a San Giovanni in Persiceto, sull’onda dell’entusiasmo dei clienti che chiedevano birre IPA, ho deciso di rispolverare e rivisitare la ricetta di quel vecchio concorso del 2008. Ho invitato al birrificio diversi degustatori e appassionati della scena brassicola bolognese per presentargli le tre varianti che avevo preparato: è lì che abbiamo scelto la birra che più ci piaceva e che è diventata la nostra Rajah.
L’anima soul della nostra Rye Charles
Da giorni al birrificio cercavamo un nome a questa birra senza però riuscire a trovarne uno adatto. Il nome è nato in modo del tutto inaspettato: una sera di dicembre, mentre ero a cena con la mia compagna in un ristorante africano a Bologna, un gruppo ha iniziato a suonare Hit the Road Jack, uno dei pezzi più famosi di Ray Charles. In quel momento ci è venuto spontaneo giocare con il nome “Ray” trasformandolo in “Rye” (segale in inglese): così è nata Rye Charles.
Questa birra si presenta scura, quasi nera ma è anche molto limpida, con una schiuma compatta color beige chiaro. L’uso del metodo cold mash (infusione fredda) permette a livello olfattivo di alleggerire le forti note di caffè date dai malti tostati che, associate alle le fragranze agrumate dei luppoli americani Citra e Amarillo, donano un mix di profumi che spazia dal cedro al lichi fino ad un accenno di macchia mediterranea. Al palato, la Rye Charles si distingue per la sua vellutata consistenza, grazie alla segale, con un amaro ben bilanciato tra malti tostati e luppoli. Il risultato è una birra che sorprende a ogni sorso e ti invoglia a berne ancora!
Dal 2014, la Rye Charles ha partecipato diverse volte al concorso nazionale Birra dell’Anno di Rimini, confezionando tre secondi posti e dandoci la soddisfazione più grande nel 2022 quando ha vinto il primo premio nella sua categoria.
La produzione della Rye Charles, così tutte le birre Vecchia Orsa, si contraddistingue per l’attenzione riservata ai processi di economia circolare e per il progetto sociale. I colleghi con disabilità partecipano infatti in modo attivo a tutte le fasi di produzione della birra, trasformando così il lavoro in opportunità di autonomia e realizzazione.
Illustrazioni: Andrea Niccolai
Articolo a cura di Sara Arlati tratto dalla storia vera di Enrico Govoni